«In carcere 39 giorni ho perso l’azienda»

«In carcere 39 giorni ho perso l’azienda»
di Francesco Marcozzi
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Domenica 5 Maggio 2024, 08:10

«Trentanove giorni di carcere di cui 8 in isolamento, poi 4 mesi e mezzo di arresti domiciliari, credevo davvero fosse finita». A parlare è Andrea Scarafoni, 47 anni, condannato con il fratello Massimiliano a cinque anni e mezzo di carcere nel processo “Casrum” che, a Giulianova, aveva portato all’arresto di 7 persone tra le quali anche la dirigente dell’ufficio tecnico del Comune, Maria Angela Mastropietro e del marito Stefano Di Filippo. Per tutti la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza d’appello, riqualificando il reato più pesante di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, in corruzione per l’esercizio della funzione (detta corruzione impropria, con pene fino a 3 anni) e di fatto dichiarando estinto il reato per prescrizione.

LA SOFFERENZA
«Oggi posso dire che ho riacquistato la serenità che pensavo di aver perso per sempre il 24 maggio del 2017 quando venni arrestato mentre mi trovavano a Torino per lavoro - racconta Andrea Scarafoni - e l’apertura delle porte di Castrogno è stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Quei terribili otto giorni di isolamento dei 39 complessivi e solo dopo quei primi giorni, ho avuto la possibilità di poter riabbracciare mio fratello, che ha vissuto le mie stesse pene. Ma avevamo fiducia nella giustizia, avevamo ottimi avvocati come Gennaro Lettieri e Luca D’Eugenio che ci venivano a trovare spesso, mentre successivamente ci siamo affidati all’avvocato Gianfranco Iadecola che ci ha assistito fino in Cassazione. Con questa sentenza abbiamo riacquistato il sorriso, ho abbracciato e stretto al cuore mia madre che ha sofferto con noi e forse di più». Una vita difficile anche dopo essere usciti dai domiciliari, tra un processo e l’altro. «Siamo stati costretti a vendere la nostra azienda - dice ancora Andrea - l’abbiamo ceduta all’imprenditore Iachini, ma poi è fallita e siamo rimasti praticamente senza niente in quanto ci erano stati confiscati i nostri beni e i soldi in banca.

Ma non ci siamo persi d’animo, sperando davvero in una sentenza diversa da quella di prima grado che ci aveva annientato. Io ho cominciato a fare il progettista nel settore dell’impiantistica, che è quello che so fare e per il quale era molto accreditata la nostra azienda, mentre mio fratello è entrato a far parte di una società dello stesso settore. Ma il nostro sogno era, ed è ancora, di poter riaprire l’azienda di via Filetto a Colleranesco, che abbiamo dovuto abbandonare. Ora speriamo di poter tornare al nostro lavoro, chissà forse insieme, e di poter riaprire quei locali che da allora sono rimasti chiusi».

LA DIRIGENTE
Proscritte anche le accuse per Maria Angela Mastropietro (difesa dagli avvocati Guglielmo Marconi e Alfredo Gaito). A palazzo comunale hanno subito contattato l’avvocato di fiducia, Marco Pierdonati, il quale ha detto che non ci sarebbero le condizioni per un ritorno della dirigente al suo posto di lavoro. Ma l’ex dirigente dell’Ufficio tecnico non tornerà. Lo conferma il marito Stefano Di Filippo e aggiunge: «Maria Angela, poi, tra due anni andrà in pensione». Causa di risarcimento del danno in arrivo per la sospensione dal Comune? «Al momento non stiamo pensando a questo - continua Di Filippo - l’importante è di esserci liberati di un grosso peso. Ora c’è tempo per tutto».

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