Paolo Pombeni
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L'editoriale/ La piaga del malaffare che la politica deve sanare

L'editoriale/ La piaga del malaffare che la politica deve sanare
di Paolo Pombeni
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 00:19

Di fronte alle inchieste giudiziarie per alcune malversazioni e per alcuni comportamenti illeciti di personale politico ci si pone il problema se stiamo per ricadere nella spirale simile a quella che più o meno vent’anni fa venne etichettata come “Tangentopoli”. La risposta più semplice è che siamo in un quadro completamente diverso, perché nei casi sotto esame di “tangenti” in senso proprio non c’è traccia, in quanto quelle erano le percentuali su fondi assegnati dal decisore politico per finanziare le attività di qualche partito e, per lo più, delle sue correnti interne.

Nei casi denunciati dalla cronaca (vedremo poi se tutti confermati e sanzionati negli appositi processi) non ci sono malversazioni e prelievi realizzati a favore di un partito, e neppure di una corrente di partito, ma più semplicemente a favore di singoli esponenti politici o al più estesi a limitati gruppetti di suoi sodali. Si tratterebbe quindi di fenomeni di corruzione che spetta alla magistratura perseguire e che non necessariamente chiamano in causa i gruppi politici in cui i singoli responsabili si sono, per così dire, accasati.
Eppure non è così semplice. La stagione di tangentopoli ha lasciato più di uno strascico avvelenato, il peggiore dei quali è una certa opinione diffusa che la politica sia terreno di coltura del malaffare. Molti dunque si interrogano come mai i partiti non abbiano avuto strumenti per controllare che i propri membri non agissero in violazione delle leggi. Si potrebbe rispondere che l’etica pubblica è una materia in disuso, a parte un po’ di inutile populismo al grido di “onestà! onestà!” (un richiamo così generico da non significare molto). Più seriamente si potrebbe riflettere sul fatto che i partiti non sono più dei “corpi istituzionali” (lasciamo perdere le ridicole definizioni di “comunità”), ma degli assemblaggi di gruppi dominanti, abbastanza ristretti, di varia natura nel declino ormai dei tradizionali radicamenti territoriali legati alla condivisione di ideologie e stili di vita.

In contesti del genere l’invocazione di “codici etici” da imporre o di “patti per la legalità” da sottoscrivere appare più che altro come cortina fumogena per nascondere l’impotenza a controllare che chi usa le filiere con cui si seleziona la classe politica per guadagnare posizioni di un qualche potere non ne approfitti per gestire meglio i propri affari personali. Quando manca se non vogliamo dire una ideologia vera, almeno il collante di obiettivi condivisi da raggiungere mediante l’azione, di governo o di opposizione che sia, tutto si scolora nello sventolio di bandierine dai mille colori, all’ombra delle quali non è poi difficile giustificarsi nella ricerca di vantaggi personali o di piccolo gruppo. Resta però che non si può sottovalutare il danno di credibilità che la politica nel suo complesso riceve dalla sua scarsa capacità di far fronte al fenomeno del degrado e della corruzione nella sfera pubblica (parliamo di quella politica, ma si tratta di un fenomeno che facilmente si estende anche a quella amministrativa).

L’illusione che ciascuna parte in campo lo possa usare per attaccare l’avversario, rimanendo indenne, è comune, ma per l’appunto non corrisponde alla realtà. Da questo punto di vista occorrerebbe ricordare che l’ondata di tangentopoli ha distrutto tutto il sistema della “repubblica dei partiti” senza che si sia ancora riusciti a ricostruirlo per quanto su basi diverse, ma egualmente solide.

Nella contingenza attuale l’ulteriore delegittimazione del nostro sistema politico avrebbe conseguenze molto preoccupanti. La crisi che si è aperta prima con l’aggressione della Russia all’Ucraina e poi con il pogrom organizzato da Hamas per scatenare la reazione quasi senza freni di Israele non solo non mostra di imboccare la via di una qualche risoluzione, ma sembra produrre frutti sempre più velenosi che allargano le prospettive di scontri capaci di coinvolgere la stabilità dell’intero sistema internazionale. Come potrà affrontarla il nostro Paese se finisce immerso in una spirale di delegittimazione allargata di tutto il quadro politico, economico e sociale? (perché alla fine tutti questi aspetti sono molto connessi nelle nostre società globali).

Più che discettare di codici etici e di assessorati alla legalità, il nostro sistema politico avrebbe tutto l’interesse a trovare un approccio unitario per impedire, o quanto meno rendere ardui i comportamenti devianti. Solo con una lotta unitaria da parte di tutte le forze politiche degne di questo nome contro le trasmigrazioni interessate da un partito all’altro, contro la proliferazione di piccole formazioni che governano pacchetti di voti sotto qualche denominazione di comodo, contro la sottrazione di investimenti e sovvenzioni a controlli di trasparenza (non di puro tipo burocratico, che servono a poco), si potrà emarginare il fenomeno di quel professionismo politico scadente che può vendersi al miglior offerente perché alla fine troppi sono interessati ad imbarcare voti senza guardarci troppo dentro.

Come sempre avviene quando si parla seriamente di questioni morali, si ottengono un contesto e un clima adeguati solo se c’è una convergenza molto ampia sui valori da condividere e se si esce dall’inutile lamentazione, e dallo stracciarsi pubblicamente le vesti sulla corruzione e sulla decadenza dei costumi (che ciascuno vede solo nel campo avversario). Un paese importante come l’Italia ha bisogno che il suo sistema goda della massima credibilità e autorevolezza possibile: le si ha quando si mettono da parte le velleità di quelli che vogliono proclamare proprie presunte superiorità morali come se facessero parte di un altro mondo e si accetta di lavorare insieme per non consentire che le malversazioni presenti servano ad alimentare scontri di fazione fra poteri contrapposti.

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