Uomo, giovane, con un basso livello d'istruzione: il profilo del jihadista italiano

L'analista Francesco Bergoglio Errico ha analizzato in un volume 526 casi di jihadisti nel nostro Paese dal 1993 a oggi. «Con Al-Qaeda servivano due anni di addestramento, oggi basta un giuramento a Isis»

Uomo, giovane, con un basso livello d'istruzione: il profilo del jihadista italiano
di Riccardo Palmi
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Martedì 17 Ottobre 2023, 20:40 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 15:51

«Ciò che è avvenuto a Bruxelles è in parte conseguenza della capacità di radicalizzazione di un altro evento, quello del 7 ottobre da parte di Hamas in Israele». Francesco Bergoglio Errico è fondatore e direttore esecutivo di Monitoring Jihadism Project. Negli ultimi cinque anni ha analizzato i casi giudiziari relativi a 526 jihadisti in Italia dal 1993 a oggi. Un identikit? Uomo, di origine nord-africana, residente nel settentrione italiano e con uno scarso livello di istruzione: pochissimi gli studenti, nonostante l'eta media sia bassa (il 70% ha meno di 35 anni). La maggioranza svolge lavori manuali o è disoccupato (in questo caso di solito però ha un'entrata illecita). Sempre più spesso ci si forma da soli: d'altronde «per entrare ad Al Qaida servivano due anni di addestramento, mentre per aderire allo Stato Islamico basta un giuramento», dichiara Bergoglio Errico. 

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L'analisi

Il volume con i risultati del lavoro ("Anatomia del jihadismo in Italia" legato al progetto www.monitoringjihadism.com) è stato presentato oggi a Montecitorio: per una macabra coincidenza arriva il giorno dopo un attentato islamista sul territorio europeo, ancora una volta a Bruxelles. «Si tratta di un attentato non preparato, come invece era accaduto al Bataclan, anche se non mi piace parlare di lupo solitario, perché poi si scopre spesso che nessuno agisce mai totalmente da solo».

Inevitabile, però, la domanda: potrebbe accadere anche in Italia? «In teoria sì, anche se l'apparato antiterrorismo italiano è molto capace e la cooperazione tra forze dell'ordine alta. E poi è diversa la situazione sociologica rispetto a Francia, Belgio, Inghilterra e anche Spagna. Lì sono magari alla sesta generazione, qui il fenomeno è più recente.

Meno stranieri, meno possibilità che qualcuno si radicalizzi».

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Le tre fasi

Il jihadismo in Italia è ovviamente cambiato in trent'anni. La prima fase va dal 1993 al 2006: allora «eravamo di fronte a un jihadismo insurrezionalista che voleva abbattere i governi arabi e usava l'Occidente come base logistica», afferma Bergoglio Errico. Anche se «dal 2001 Al Qaida ingloba queste formazioni per creare un grande jihadismo globale e al governo arabo "apostata"  affianca come nemico da combattere il mondo occidentale». Soprattutto all'inizio, i movimenti jihadisti «agivano come organizzazioni criminali, finanziandosi con lo spaccio di droga, traffico di documenti falsi, favorendo l'immigrazione clandestina e così via».

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Dal 2007 al 2011 «questo modello convive con il nuovo jihadismo targato Isis e dominato dalla radicalizzazione online, che inizia a coinvolgere anche i sociologicamente italiani (cioè senza alcuna origine straniera, ndr)». Infine, ecco la fase attuale. «Le carte giudiziare mostrano che dal 2012 troviamo soprattutto piccole cellule e individui senza contatti diretti con l'organizzazione terroristica e che si sono radicalizzati online. Non a caso, i social network diventano uno strumento decisivo per diffondere il germe della jihad. E poi cambia il ruolo della donna, che partecipa attivamente, dall'indottrinamento dei figli alla radicalizzazione di altre donne, fino al finanziamento delle attività. Infine, triplicano i sociologicamente italiani radicalizzati».

Mentre si discute di come regolamentare l'immigrazione, Errico Bergoglio sottolinea un aspetto: «Il migrante irregolare, non avendo gli strumenti per emergere, ha più possibilità di finire nelle grinfie del jihadismo o della criminalità organizzata». La radicalizzazione, poi, avviene spesso in carcere, che è «un luogo per sua natura difficile da affrontare. Immaginiamo un giovane straniero in cella, ad esempio per spaccio di droga. All'inizio magari neanche pratica la religione islamica, poi in carcera "becca" un radicalizzatore che si offre da punto di riferimento e il gioco è fatto».

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