Quei piccoli ucraini che nessuno fa tornare, trasferiti per essere russificati, il loro destino resta un rebus

Quei piccoli ucraini che nessuno fa tornare, trasferiti per essere russificati, il loro destino resta un rebus
di Franca Giansoldati
7 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Maggio 2024, 08:07

«Mi chiamo Ilia, ho 11 anni. Vivevo a Mariupol con la mamma e prima della guerra tutto andava bene». Ha gli occhi azzurri e parla serio davanti alle telecamere. Accanto a lui c'è sua nonna, l'unica parente. È una delle poche luci raccolte in questi mesi di buio. Ilia racconta che prima un razzo ha distrutto la sua casa, ucciso la madre e ferito gravemente lui stesso al braccio e alla gamba, poi dei soldati russi lo hanno portato via, a Donetsk dove è stato anche operato. «In ospedale pretendevano che mi esprimessi in russo, che dicessi che l'Ucraina fa parte della Russia». La fortuna è stata una televisione che lo ha ripreso in ospedale e così la nonna non solo ha saputo dalla tv che la figlia era morta ma che Ilia era in territorio russo. Così è iniziata la trafila per riaverlo.

LE TESTIMONIANZE

La stessa cosa è capitata ad Oleksandr, 12 anni, sempre a Mariupol. Nel marzo di due anni fa è stato separato dalla mamma in un campo di filtrazione. «Ripetevano che la mamma non aveva bisogno di me, poi hanno prospettato la vita in un orfanotrofio fino a quando una famiglia adottiva russa non mi avrebbe preso». Anche in questo caso gli sforzi della nonna Lyudmyla sono stati salvifici grazie al lavoro coordinato di alcune ong. L'ultima di queste tre storie emblematiche, invece, ha per protagonista due ragazze ucraine.
«A noi i russi ripetevano: non sei nessuno e ora farai quello che ti viene detto. Questa non è l'Ucraina, in Russia ci sono altre regole». Maria 16 anni e Anastasia 18 hanno sperimentato i centri di rieducazione per i minori situati nei territori occupati. Le giovani si conoscevano anche prima della guerra, frequentavano la stessa scuola, un istituto alberghiero ed entrambe sono state pressate a cogliere al volo l'opportunità di andare in Crimea per due settimane. Quando sono partite il pullman era pieno di ragazzini e bambini più piccoli.
«Noi pensavamo che ci avrebbero riportate a casa dopo quelle due settimane ma purtroppo così non è stato. Abbiamo dovuto eseguire ogni cosa, persino ascoltare in piedi l'inno della Russia. La parola Ucraina era vietata. Una volta abbiamo disegnato un cuore blu e giallo e il direttore si è arrabbiato moltissimo. Quando Kherson è stata liberata abbiamo urlato di gioia, ma abbiamo capito che nessuno ci avrebbe riportate indietro». La memoria va alle stanze poco riscaldate, all'acqua fredda, la doccia accesa solo una volta la settimana, la sensazione di controllo, il cibo non abbondante. «Naturalmente dovevamo parlare russo, scrivere in russo». Erano entrate nel programma di russificazione.

I NUMERI

Solo dalla regione di Kharkiv, secondo le autorità ucraine, sono stati deportati 561 bambini. 37 di loro sono stati restituiti in ottobre dell'anno scorso, ed è stato forse il più grande rimpatrio di gruppo.
La deportazione in Russia dei bambini è una delle pagine più penose e ancora poco esplorate da quando Putin ha deciso di invadere l'Ucraina applicando la cosiddetta Dottrina Breznev. Migliaia e migliaia di minori trasferiti forzatamente man mano che le truppe russe avanzavano. La speranza ora, dopo due anni di guerra, è rivolta al vertice in Svizzera previsto per metà giugno. Tanti minori sono portati via perché rimasti privi di genitori, altri, perché ritrovati in orfanotrofi, in case famiglia o in situazioni precarie. In ogni caso per molti il destino resta incerto e ancora avvolto dalla nebbia più fitta. Nemmeno sui numeri esiste sintonia. Per le autorità di Kiev sono 19 mila 546: una lista di nomi e cognomi comprensiva delle circostanze relative al prelevamento da parte dei militari o alla sparizione. I funzionari di Mosca sostengono che quel dossier non combacia con la realtà e parlano di qualche migliaio di piccoli "salvati" dalle bombe che cadevano. È l'odissea sconosciuta di questa infanzia spezzata. Uno degli aspetti più inquietanti del conflitto. Che ne è stato di loro, dove si trovano attualmente e in che condizioni e perché non vengono rilasciati?
Diverse cancellerie da un anno sollecitano la Russia. A febbraio è nata anche la Coalizione internazionale per il ritorno dei bambini ucraini, un gruppo a trazione canadese che serve a coordinare gli sforzi. Sul campo, inoltre, sono attive diverse ong mondiali di grande peso e capacità finanziarie, la rete Save Ukraine Kuleba oltre a diversi servizi segreti occidentali, compresi quelli del Sudafrica e del Qatar.
Papa Francesco, come si sa, si è mosso da tempo personalmente affidando un mandato esplorativo al cardinale Matteo Zuppi. Finora i colloqui dietro le quinte non hanno avuto sbocchi determinanti. «Le cose però vanno avanti» assicura fiducioso il cardinale contattato dal Messaggero. Lui ha in mano una lista di 106 bambini e il 10 novembre ha raggiunto un accordo per far ritornare a casa un adolescente deportato l'anno prima da Mariupol. Bohdan Yermokhin, 17 anni.
Al momento della guerra era orfano di entrambi i genitori e ora ha potuto ricongiungesi con un cugino. Il suo nome nel registro delle autorità russe era stato cambiato in Bogdan Ermokhin. La sua vicenda è stata confermata da entrambe le autorità, russa e ucraina, Maria Lvova-Belova e Dmytro Lubinets.
Raramente sono venuti a galla casi di adozioni. La stampa indipendente come IStories è stata in grado di ottenere documenti secondo cui un parlamentare russo, Sergey Mironov avrebbe adottato una bambina di dieci mesi: Margarita Prokopenko si trovava in un orfanotrofio a Kherson durante l'occupazione della città. Da lì è stata portata in Russia ed è diventata Marina Mironova all'anagrafe.
Poi ci sono altri canali paralleli in azione. Quello più interessante è forse quello del Qatar. Già ad ottobre, grazie alla mediazione dell'Emiro i primi quattro bambini che erano stati separati dalle loro famiglie hanno potuto ricongiungersi. L'annuncio era fatto dal ministro degli esteri qatariota che aveva parlato di una «riunificazione con successo, un passo in avanti per la questione dei bambini».
Questo piccolo paese del Golfo si sta dimostrando efficace nella mediazione tra Kiev e Mosca appianando e sciogliendo tanti nodi. Solo alcuni giorni fa dei funzionari ucraini sono tornati a Doha per trattare il rilascio di una quarantina di minori. Un passaggio importante anche se persino su questo rilascio manca chiarezza. Zelensky ha confermato che «un primo gruppo di 16 sono stati rilasciati e riuniti con le loro famiglie» senza però replicare all'affermazione della funzionaria russa Lvova-Belova secondo cui ci sono dei bambini che resteranno in Russia: «Per la prima volta abbiamo tenuto colloqui con la parte ucraina. Ventinove bambini andranno in Ucraina e 19 in Russia».

IL BILANCIO

A provare a fare un primo bilancio è il nunzio apostolico a Kiev, monsignor Vislvaldas Kulbokas. «Nessuno conosce numeri precisi. Ad oggi sono stati rilasciati complessivamente poco più di 500 bambini. Questo grazie a diverse realtà: alla Santa Sede, al Qatar e ad alcune associazioni. Tutto però va a rilento, i russi certamente non si affrettano, se la prendono con calma. A questo va aggiunto che è il meccanismo in sé ad essere complesso e farraginoso».
Riunioni su riunioni che avvengono in modo dilatato, i dati di ogni bambino da ricontrollare, spesso si tratta di completare elementi risultati parziali, le informazioni che a volte si rivelano persino superate dagli eventi. Forse quella lista andrebbe rivista. Ci sono poi bambini ucraini che si trovano in Russia assieme alla loro mamma, altri che sono finiti nella lista dei bambini scomparsi e poi si è scoperto che erano stati trasferiti in Germania o in paesi terzi. Il caos della guerra certamente non aiuta, tracciare esistenze interrotte in un clima di diffidenza totale non è facile.

L'AZIONE DEL VATICANO

I diplomatici si ricordano persino il caso (per ora unico) di un sedicenne rintracciato in Russia che ha manifestato la preferenza di restare lì. «Noi abbiamo una lista con oltre 19 mila nomi e persino un sito in cui è tutto verificabile (Www.childrenofwar.gov.ua). Se le cose non marciano è solo perché la volontà dei russi a collaborare è bassa. L'Ucraina sta facendo sforzi immani per velocizzare il processo mentre i russi rispondono con lentezza e non danno le informazioni richieste», confida un diplomatico ucraino che preferisce l'anonimato. «In ogni caso il tempo non gioca certamente a nostro favore. Più si dilatano i tempi e più è facile fare il lavaggio del cervello ai bambini, procedere cioè alla loro russificazione».

LE STRUTTURE

Prima della guerra l'Ucraina, secondo Human Rights Watch, aveva uno dei più alti tassi di istituzionalizzazione di bambini di tutta Europa, con più di cento mila minori in istituti residenziali. La stragrande maggioranza aveva genitori in vita tuttavia erano stati collocati ugualmente in apposite strutture a causa della povertà o per le difficili circostanze familiari o, ancora, perché portatori di handicap e abbandonati.
Sul capitolo davvero buio della deportazione dei minori, la Corte Internazionale Penale (ICC) l'hanno scorso ha emesso mandati di arresto per il presidente Putin e per la Commissaria per i diritti, Maria Lvova-Belova.
Gli illeciti contestati sono il crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione e il trasferimento illegale di popolazione. Le indagini sono ancora in corso.

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