Tumori, relazione medico paziente: a teatro c'è Wit, sulla necessità della condivisione secondo John Donne: “Nessun uomo è un'isola”

Giovedì 25 Aprile 2024, 16:11 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 14:19
Wit, lo spettacolo sulla relazione medico paziente: la malattia e la necessità della condivisione secondo John Donne: “Nessun uomo è un'isola”
di Stefania Piras
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Wit, lo spettacolo in scena al Teatro Due di Parma fino al 30 aprile, è ottanta minuti di colloqui paziente - medico, neon ospedalieri e versi di poesie in cui la virgola è presa sul serio: uno spartiacque rapido e indolore tra la vita e la morte. Le poesie sono di John Donne: il poeta, predicatore e studioso metafisico inglese del Settecento, quello di “Nessun uomo è un'isola". La virgola accabadora è contenuta nel finale del decimo Sonetto: “E dopo un breve sonno, desti saremo in eterno e Morte più non sarà, Morte tu morrai”. Questa strofa viene ripetuta, shakerata nelle orecchie-alambicco degli spettatori per distillare bene il wit (traducibile solo parzialmente con la parola “arguzia”), cioè un paradosso raggelantee ironico, un'intuizione che nel momento in cui viene afferrata scivola di nuovo via (John Donne è una miniera di wit, non a caso compare spesso nelle veline dei Baci Perugina).

Il testo messo in scena è la prima regia della direttrice artistica del Due, Paola Donati (curriculum sterminato da dirigente teatrale e docente a Roma, Parma e Venezia) che lo ricevette da Luca Fontana, scomparso ormai un anno fa, ed è il premio Pulitzer per la drammaturgia vinto nel 1999 da Margaret Edson che scrisse “Wit” per indagare il dolore che accompagna la ricerca della consapevolezza di sé durante una malattia, quando la sete di conoscenza perde quota e ha bisogno di essere temperata dalla condivisione, della relazione umana. È disposta – alla fine – anche a fermarsi per aprirsi al «tempo della semplicità e della dolcezza» che non offre progressi scientifici e nemmeno salti di carriera.

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