Cassazione, il “no” vale sempre. «È stupro pure se la donna non fugge»

La Corte d’appello di Palermo aveva assolto un uomo accusato di violenza sessuale perché “l’aggressività è gradita alle ragazze”

Cassazione, il “no” vale sempre. «È stupro pure se la donna non fugge»
di Valeria Di Corrado
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Lunedì 15 Aprile 2024, 23:31

La Corte di appello di Palermo si era rifatta addirittura al detto latino di Ovidio “vis grata puellae” - “la forza è gradita alla fanciulla” - per giustificare l’assoluzione dell’uomo accusato di aver violentato una ragazza mentre la riaccompagnava a casa, dopo una serata trascorsa in discoteca. Per i giudici, infatti, non era stato ritenuto sufficiente il rifiuto verbale della vittima, ossia il suo “no” al rapporto sessuale: il fatto che la vittima non fosse fuggita e non avesse riportato evidenti lesioni, dimostrerebbe che aveva, anche solo implicitamente, prestato il suo consenso. Ma il 2 aprile scorso la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado del 23 giugno 2022. «La Corte d'appello ha più volte evidenziato - precisano gli Ermellini - l'assenza di una reazione fisica della persona offesa, nonché l'assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, facendo richiamo alla anacronistica massima della vis grata puellae, assunto in base al quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell'uomo, non essendo sufficiente manifestare un mero dissenso».

LA VICENDA
La sera dell’11 agosto 2016, dopo aver litigato con il suo fidanzato, ed essendo rimasta senza le amiche, la vittima aveva cercato un passaggio per poter rientrare a casa.

L’imputato aveva approfittato della situazione per saltarle addosso, prima nel suo furgone e poi in un’abitazione a sua disposizione. La ragazza, appena incontrato un amico, era scoppiata a piangere confessandogli di essere stata violentata. L’indomani aveva riferito tutto anche alla madre, alle numerose amiche e infine alla psicologa. Aveva ammesso di essere rimasta «sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all’interno del furgone in zona isolata e in piena notte, dove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga». Secondo gli Ermellini, la mancata fuga «è da ricondurre ad uno stato di prostrazione psichica tale da inibirle qualunque forma di reazione concreta e attiva».

A dimostrazione del fatto che avesse negato il consenso, sono stati acquisiti in giudizio anche gli indumenti intimi della vittima che risultavano lacerati. «La Corte d'appello, dunque, avrebbe dovuto spiegare in maniera puntuale - si legge nella sentenza della Suprema Corte - le ragioni per le quali ha ritenuto di addivenire ad una pronuncia di segno opposto rispetto a quella di primo grado (della Corte d’assise di Agrigento, ndr), che aveva evidenziato come l’imputato, convinto che si fosse creata una situazione favorevole e forte del pregiudizio secondo cui la vittima era una ragazza" facile", mosso dal desiderio maturato da tempo di avere un rapporto sessuale con lei, ha disatteso i segnali di dissenso che la stessa aveva manifestato».

LE MOTIVAZIONI
«Contraddittoria - aggiunge la Cassazione - è l’affermazione del giudice territoriale dove, da un lato afferma l’inattendibilità della persona offesa in ordine al dissenso ai rapporti sessuali, dall’altro, afferma che il semplice rifiuto verbale ai rapporti sessuali, comunque manifestato dalla persona offesa, potesse essere interpretato dall’imputato come ritrosia, meramente formale e “di facciata”, di una donna alle iniziative erotiche del partner. Non si comprende poi quale rilievo probatorio e argomentativo abbia il riferimento alla vis grata puellae, a fronte di una problematica inerente a un atteggiamento coercitivo o meno dell’imputato». Il detto latino viene usato per indicare un supposto atteggiamento - frutto di un retaggio patriarcale e bigotto - in base al quale la donna non potrebbe prendere iniziativa sessuale né tanto meno cedere subito alle "avance" di un uomo, bensì dovrebbe presentarsi come pudica e ritrosa, predisponendosi così a subire di buon grado l’aggressività maschile, in modo da non apparire spudorata.  La cosa assurda è che dei magistrati - quelli della Corte d’appello di Palermo - possano ancora oggi sposare questa teoria maschilista, alla luce delle battaglie per la parità dei diritti tra i sessi e della lotta alla violenza di genere, combattuta anche con l’introduzione del “codice rosso”.

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