Leo Gassmann torna con “Take That”: «Canto l’amore che finisce col botto»

«La svolta funk di questo pezzo? L’ho ereditata da mamma e papà che dai Daft Punk in giù ascoltavano questa musica»

Leo Gassmann, 25 anni
di Mattia Marzi
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Venerdì 26 Aprile 2024, 07:00

A 25 anni Leo Gassmann mostra una maturità fuori dal comune, tra i suoi coetanei: «Non ho quella fretta e quell’angoscia di dover necessariamente scalare le classifiche. Credo che ogni cosa abbia il suo tempo. In questi quattro anni dalla vittoria a Sanremo Giovani sono cresciuto, migliorato, perso l’ingenuità degli esordi e conquistato consapevolezze», dice il cantautore romano, figlio (di Alessandro) e nipote (del grande Vittorio) d’arte. 

Dopo aver interpretato Franco Califano nel film dedicato alla voce di Tutto il resto è noia, andato in onda su Rai1 a febbraio, Gassmann - che è stato da poco inserito da Forbes Italia nella lista dei “100 migliori under 30” nella categoria “intrattenimento” - torna alla musica con un nuovo singolo, Take That: «Racconta di un amore che finirà con il botto, dopo un tour mondiale.

Come una band». 

È nato due anni dopo lo scioglimento dei Take That: cosa le è arrivato dell’epopea della boyband? 
«Mi ha sempre affascinato il cambio di rotta di Robbie Williams dopo l’addio agli altri. Fu coraggioso: erano il gruppo più ascoltato al mondo. Mi piaceva l’idea di paragonare la fine di una storia a quella di una band». 

Lei si sente più Gary Barlow, preciso e diligente, o Robbie Williams, la rockstar del gruppo? 
«Più Gary. Non ho quell’attitudine rock che aveva Robbie (ride)». 

Questa svolta funk nei suoni, che guardano agli Anni ’80, come nasce? 
«La passione per queste atmosfere l’ho ereditata da mamma e papà, che quando ero piccolino ascoltavano quasi sempre musica funk, dai Daft Punk in giù. Volevo fare una canzone con sonorità che strizzassero l’occhio all’estate, ma senza scadere nel banale». 

Un bel reggeton non lo farebbe? 
«Non ne sarei capace. Non è il mio mondo. C’è già chi lo fa benissimo, come i Boomdabash e Fred De Palma (ride)».

In un’epoca in cui l’industria pretende forse un po’ troppo dagli artisti, e il caso di Sangiovanni lo conferma, lei come si muove? 
«Mi prendo i miei tempi. La vicenda di Sangiovanni mi ha colpito e gli sono vicino. Ma non mi ha sorpreso». 

Perché? 
«Quando si ha un successo così grande, esploso da un giorno all’altro, si fa fatica a gestire i fallimenti, se non si è preparati psicologicamente. Devi mantenere quel ritmo: è come andare su una bicicletta senza freni che va giù a strapiombo su una montagna. I social ci fanno pensare che il successo debba arrivare subito, altrimenti sei un fallito. Non è così: i più grandi ci hanno messo anni e anni per raggiungere lo status di icone». 

A lei è mai capitato di sentirsi un fallito?
«Spesso. Il nostro mestiere non è semplice: è fatto di tanti alti e bassi, soprattutto emotivi e psicologici. Un giorno sei su un palco e quello dopo sei a casa da solo. Esce una canzone, ma il giorno dopo non se la ricorda più nessuno. Esce un film, ti osannano, e poi finisce tutto». 

Che messaggio porterà sul palco del Concerto del Primo Maggio?
«Un messaggio di pace, che non preferisco non anticipare. È un periodo difficile, che mi fa paura. La musica può aiutare le persone ad evadere». 

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