LA SENTENZA
Arriva a 14 anni dal fatto e con una seconda inchiesta aperta dalla Dda la sentenza sull'omicidio di Massimiliano Moro. La Corte di assise di Latina ieri pomeriggio ha condannato a venti anni di carcere Ferdinando Ciarelli detto "Macù" e Simone Grenga, il primo quale organizzatore dell'agguato, il secondo quale esecutore materiale. Per entrambi, assistiti dagli avvocati Italo Montini e Marco Nardecchia, anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Esclusa la premeditazione ma riconosciuta a loro carico l'aggravante della agevolazione mafiosa. Sono stati invece assolti Antongiorgio Ciarelli e Ferdinando Di Silvio detto "Pupetto", difesi dagli avvocati Alessandro Farau e Emilio Siviero.
Un verdetto, arrivato dopo circa due ore e mezza di camera di consiglio, che ha ridimensionato pesantemente la ricostruzione dell'accusa rappresentata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Roma Luigia Spinelli e Roberto Gualtieri. I pubblici ministeri nella scorsa udienza avevano infatti chiesto una condanna per i primi due all'ergastolo e a 30 anni di reclusione per gli altri due. I quattro imputati erano chiamati a rispondere di omicidio premeditato aggravato dai motivi abietti con l'aggravante di avere agito con metodo mafioso.
Una vera e propria esecuzione quella di Massimiliano Moro, ucciso a colpi di pistola nella sua abitazione di largo Cesti nel quartiere Q5 il 25 gennaio 2010, avventa poche ore dopo il tentato omicidio di Carmine Ciarelli gambizzato con sette colpi di pistola in pieno giorno nel bar del Pantanaccio dove faceva colazione ogni mattina.
Un gesto di sfida che, come ha ricostruito l'accusa, ha dato il via ad una vera guerra tra gruppi criminali contrapposti nel capoluogo pontino: da una parte quello che faceva riferimento a Moro, dall'altra le due famiglie dei Di Silvio e dei Ciarelli che per ribadire il loro potere criminale strinsero una vera e propria alleanza.